Compagni,
noi non dovremmo usare il tempo di questo Comitato a puntare il dito, a cercare il capro espiatorio, a giocare allo scaricabarile di chi vuole o non vuole assumersi le proprie responsabilità.
Qui non è messo sotto accusa Marco Pannella, o una certa dirigenza, così, perché ci piace trovare il colpevole.
Dovremmo utilizzare il tempo a cercare di proporre delle soluzioni a una situazione, cristallizzata in questa raccolta firme e nella presentazione di questa Lista, che non possiamo più permetterci di sostenere.
Ma, a meno di falsare la realtà dei fatti, dobbiamo tutti noi riconoscere, e lo riconosciamo dalle critiche che ci sono state rivolte, che la genesi, lo svolgimento e l’evidente breve vita che avrà la Lista AGL è stata una debacle sia al nostro interno, sia rapportata all’appeal politico che ha avuto all’esterno.
Ce lo dicono i numeri: oltre quelli a macchia di leopardo che tutti oramai conosciamo, è utile ricordarne alcuni che io ho ben presente.
Meno di 5 mesi fa, a Milano, abbiamo raccolto oltre 30.000 firme sulle 5 proposte di delibera popolare di Milano Radicalmente Nuova. Radicalmente, ossia da un punto di vista Radicale, non ci siamo certo nascosti dietro qualsivoglia palliativo. Le abbiamo proposte noi Radicali Milanesi.
E’ successo quello che è successo nel frattempo.
Altri numeri: la mobilitazione per la Lista AGL – al netto di ogni posizione personale che anche l’Associazione Enzo Tortora ha naturalmente lasciato ai propri iscritti e simpatizzanti, senza prendere posizione ufficiale, nonostante la maggioranza fosse non d’accordo – posizione ufficiale tra l’altro non richiesta da nessuno e contraria allo Statuto dell’Associazione – ha visto il permesso per approntare circa 40 tavoli sparsi per la città, siamo entrati a San Vittore e a Opera… più altre iniziative.
Di quei tavoli solo 1/3 siamo riusciti a farne: mancava la militanza radicale per coprirli.
A San Vittore e a Opera abbiamo raccolto rispettivamente 122 e 37 firme: anche noi ci aspettavamo di più. E non aggiungo altro.
Fatto sta che comunque abbiamo depositato 1002 firme per il Senato della Repubblica, dove la Lista sarà presente anche in Lombardia, giova ricordarlo, mentre poco più di 500 sia per la circoscrizione Lombardia 1 della Camera – e quindi esclusi – sia per le elezioni regionali – e quindi esclusi.
La Regione Lombardia, questa sconosciuta mi vien da dire. Una delle 4 locomotive d’Europa – a proposito di trans nazionalità – che, scaduto il termine per la presentazione delle firme per Camera e Senato, ha sofferto di un certo oscuramento. Io ho sentito l’elenco dei tavoli solo dopo che Marco Cappato, a un tavolo con me, ha chiamato Martini per sollecitare che venissero trasmessi i punti di raccolta firme.
Insomma, un certo grazie da quei Radicali Lombardi che per anni hanno lottato contro il sistema formigoniano, ottenendo grandi risultati, ma che al momento di mettere la farina nel sacco, hanno visto evaporare se non tutto, quasi, per una scelta politicamente sbagliata. Un po’ di frustrazione…
Allora, noi non siamo qui per dare colpe. Ma chiediamo che i responsabili politici delle ultime scelte, se ne assumano la responsabilità e prendano opportune misure.
Funziona così in politica.
E’ questo il punto: di chi è la responsabilità politica?
Per come è formata la struttura della radicalita, la responsabilità è di tutti e di nessuno. Sembra quasi fatta apposta per ottenere, anche nella più catastrofica delle campagne, una giustificazione, una sorta di auto-assoluzione è colpa del regime…
Della struttura che questo partito si è dato nel corso degli anni già molto si è detto, e non entrerò nel merito, ricordando semplicemente che più che una struttura agile, veloce, pronta, reattiva, al passo coi tempi, sembra un carro merci frenato.
Il metodo: il metodo radicale, che gli esponenti storici radicali hanno messo in opera da almeno 30 anni a questa parte, anche quello dei taxi, degli accordi tecnici, ma non alleanze – come se l’elettore medio, anche radicale, si perdesse in queste sottigliezze – questo metodo – con tutte le modalità che ha ricordato anche Strik Lievers – erano e sono state più che giuste, erano e sono state adottate da tutti i radicali per portare avanti le nostre battaglie.
Io non c’ero, quindi non metto in discussione il passato: ne riconosco il valore e l’essere parte della storia e della tradizione radicale.
Forse per questo però, sono scevro da talune professioni di fede di chi mi dice di non aver capito nulla del partito, del movimento di cui faccio parte.
Non sono dunque quelli i problemi, non le colpe, non i regolamenti di conti che non hanno ragione d’essere, è prendere atto del trend negativo, secondo ogni indicatore, specificatamente quello del consenso – come già dissi in uno scorso comitato.
Io non posso credere, Compagni, che voi non vediate o peggio non vogliate vedere una diffusa disaffezione, di chi, magari radicale da sempre, decide di non raccogliere le firme, non è preso dall’entusiasmo per le nostre lotte, di chi è fortemente critico e sembra in attesa di qualcosa che non arriva. Di queste cose Cappato ne sa, Biancardi ne sa, Viale ne sa…
Questo è stato, per la gran parte, fin’ora, un Comitato del “si stava meglio quando si stava peggio”. Il partito è stato, la storia radicale è stata, il partito ha fatto, non è mai successo che, non è più quello di 30 – 50 anni fa.
Mi viene anche da dire certo: da 30 anni a questa parte il mondo è cambiato. Nessuno qui, credo e spero, vuole mettere in discussione ciò che il Partito è stato e ha conquistato nel passato.
Bene, ma non vogliamo credere tutti noi, Compagni, anche chi è più ancorato, per le motivazioni più varie, alle scelte del passato, giustissime, non vogliamo vedere che il “partitino” è questo che chiamiamo partito e che nutriamo con un sondino?
E’ questo quel partitino che da troppi anni, in barba alla sua grande tradizione, si deve limitare, per scelta che andava bene anni addietro, ai passaggi sui taxi altrui della partitocrazia, si deve limitare alle incursioni partigiane democratiche. Che devono necessariamente esserci, ma non bastano!
Allora, se tutto ciò era necessario e sufficiente ed efficace tempo fa, ora forse non lo è più.
Perché se gli Alleati avessero perseguito gli obiettivi della Guerra con le incursioni, con i sabotaggi, chiedendo magari alla Wehrmacht dei passaggi verso Berlino, io e voi in questo momento parleremmo tedesco.
Ora, noi parliamo dell’alterità radicale, delle conquiste e delle battaglie del passato, ma ci troviamo qui a fare del gossip sulle alleanze, sui presupposti scandali, che non mi interessano… non portano a nulla.
La nostra guerra – e perdonate l’accenno militaresco – è da sempre quella contro la partitocrazia, il regime italiano, per lo stato di diritto e dei diritti, e certamente anche per l’amnistia, la giustizia e la libertà.
Compagni, io, e diamo per assodato che non abbia capito dove sto, mi chiedo e vorrei ci chiedessimo tutti – fuori da ogni polemica di sorta varia – ci chiedessimo sinceramente, se questo metodo ultra decennale di battaglia politica, se la strategia elettorale distinta dalla strategia politica, ci chiedessimo se le scelte fatte nel passato, nemmeno recente, sono ancora valide, attuali, funzionali ed efficaci.
Il chiederselo, sarebbe atto di maturità politica.
E si noti, per evitare polemiche, che non sto parlando di RI, di RnP o che altro.
E allora, siamo propositivi?
Se nonostante tutte le scelte del passato, a livello di struttura, a livello di metodo, nonostante l’indirizzo politico che da anni seguiamo, se qui, ora, adesso, parliamo ancora di regime partitocratico, vuol dire che il nostro metodo e le nostre scelte non ci hanno salvato dal travasamento da una 1° Repubblica corrotta e delinquente alla 2° del Berlusconismo e dei furbetti, e se con queste elezioni, pur antidemocratiche, noi non riusciamo, non siamo riusciti e non riusciremo a fermare il regime partitocratico della 3° Repubblica, forse è il caso di fermarsi tutti e decidere che è giunto il momento – se vogliamo sconfiggere la partitocrazia – è giunto io credo il momento di farci noi stessi partitocrazia.
Fermo restando i principi di nonviolenza, transpartiticità e transnazionalità – ma ancora senso parlare di trans nazionalità in un mondo strettamente e intrinsecamente e naturalmente connesso, già transnazionale de facto – fermi restando quei principi, tra l’altro comodi alla partitocrazia: lasciate che i Radicali si occupino d’altro e non rompano…. Perché è certo che noi siamo scomodi… fermi quei principi, stante il nostro DNA di legalità che ci è insito, che ci vaccina, io credo che sia giunto quel momento.
In Tortora abbiamo un manifesto, che qui non vedo, raffigurante una boccetta di medicinale con scritto “I Radicali, antidoto contro le illegalità”.
Allora Compagni, che si abbia il coraggio di essere vero antidoto, di farci virus che si auto inocula nel regime partitocratico e dall'interno utilizzando i suoi propri gangli sistemici, distruggerlo. Ne più ne meno di come fa un vaccino. Che deve essere testato, altrimenti rimane una bella invenzione scientifica.
Certo, la scelta di farsi partitocrazia – assumendone i connotati formali – non ha bisogno di riunioni d’area, o almeno non solo di quelle. Io credo che un necessario cambiamento nella direzione qui esposta, necessiti di un qualcosa di più ampio, di una sorta di Costituente, perché il passaggio riguarda l’essenza stessa di tutta la radicalità.
Se noi decidessimo di non tentare, di non mettere in opera una cosa tanto radicale nel senso più puro del termine – noi non dobbiamo prendere il taxi, noi dobbiamo farci motore di quel taxi – di non farsi noi stessi parte della partitocrazia, per sconfiggerla, allora siamo destinati a soccombere a causa di quel regime che, da 50 anni a questa parte, continuiamo a denunciare. E se non dovessimo scomparire, continueremmo a fare delle incursioni partigiane. Io non mi accontento di fare il sabotatore.
Roma, Torre Argentina, 2 febbraio 2013
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