Non capisco questo fervore, o meglio livore, nei confronti di un potenziale governo tecnico.
Mi si dice che non è un governo eletto dal popolo, mi si dice che non è rappresentativo, mi si dice che sarebbe composto da non eletti.
Su quest'ultimo punto, non commento neppure. Nessuno, dico nessuno, di coloro che siedono in Parlamento è stato eletto. Scelti dalle segreterie di partito, certamente, come funzionava anche nel proporzionale, con la differenza che le liste bloccate frutto di questa legge elettorale ricordano molto il listone fascista. Almeno prima avrei potuto scegliere, come ho sempre fatto, in assenza di conoscenze personali, il più giovane tra i candidati.
Per quanto riguarda i primi due punti, ecco, credo che un cosidetto governo tecnico - che, come ha appena detto Scalfari a La7, di per sè non esiste in quanto anche il governo tecnico necessita della fiducia del Parlamento, quindi dell'investitura politica per eccellenza per operare - questo tipo di governo rappresenta la quintessenza dell'equilibrio di poteri, delle garanzie democratiche di un paese.
Fermo e sempre più convinto del pericolo della tirannia della maggioranza, di qualsiasi cosa essa sia rappresentativa, abbiamo, qui e in passato, la prova che la maggioranza non ha sempre ragione.
Talvolta, accade, la maggioranza partorisce immani pericoli. Certo inconsapevolmente, credendo di operare la scelta migliore, che, ahinoi, si rivela la più catastrofica.
E' qui allora che, in extremis, fa capolino quella complessa struttura di regole democratiche - la democrazia non è solo forma ma soprattutto sostanza e pratica - che permettono, visto il fallimento del governo in essere, di instaurare un governo di transizione che abbia, attenzione, che abbia punti fermi e linee programmatiche limitate nel tempo e nello spazio.
Oggi, non abbiamo bisogno di nient'altro di un governo che si faccia portatore verso tutto il parlamento della riforma elettorale. Noi crediamo in senso uninominale maggioritario. E se questa non deve essere, almeno che si faccia una riforma. Come dice Silvio Viale, meglio una brutta riforma che nulla. E, non credo di essere impopolare, che rimetta al centro dell'attenzione il conflitto di interessi. Chi possiede i mezzi per condizionare l'informazione di larga parte degli elettori (non parlo di cittadini, si badi bene) non può e non deve scendere in campo.
Di certo, consapevolmente, non possiamo chiedere al governo tecnico di risolvere la catastrofe economica che il berlusconismo ci lascia in eredità. Però potremmo fare in modo che adotti quei provvedimenti che tutti, tranne i fondamentalisti di qualsiasi religione, auspicano: tutti, ma proprio tutti, devono pagare le tasse. Con buona pace del Vaticano e del suo poco illustre inquilino.
Si potrebbe iniziare da qui.
Il post berlusconismo è un salto nel buio.
Ci saremmo noi Radicali, lo dico con un sorrisino deluso, ma nessun elettore troverà il simbolo di Radicali Italiani sulla prossima scheda elettorale.
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